Impro-terapia. Terapia della Gestalt e Improvvisazione teatrale
Fritz Perls, padre della psicoterapia della Gestalt, sviluppò da giovanissimo l’interesse per il teatro, che conservò per tutta la vita e che utilizzò nella pratica terapeutica. Egli seguì corsi d’arte drammatica e recitò al Deutsches Theater di Berlino, dove entrò in contatto con Max Reinhardt, il regista che rivoluzionò la cultura teatrale agli inizi del secolo scorso. Perls scrisse di lui: «È il primo genio creativo che io abbia mai conosciuto» (Perls, 1969) e, come terapeuta, fu certamente influenzato dalla sua visione innovatrice. Reinhardt, allontanandosi dal modello naturalista, mise in rilievo le caratteristiche personali dell’attore piuttosto che seguire gli schemi standardizzati sul come si dovessero rappresentare i personaggi. Propose che l’attore, anziché recitare secondo schemi precostituiti, diventasse lui stesso il personaggio, come persona che mette se stessa nel ruolo, con la sua propria gestualità, il suo sentire e la sua visione del mondo. Il personaggio che emerge vive già nell’attore che lo rappresenta, ne è naturalmente parte. Tecnica e umanità vanno insieme. Perls apprese da Reinhardt a farsi completamente apparato recettore, ad «ascoltare con tutti i mezzi a sua disposizione, orecchi, occhi, naso, bocca aperta, persino con la pelle» (op. cit. Perls, 1969), sviluppando l’attitudine a cogliere ogni moto espressivo del paziente, sfumature tonali, microgestualità, cambiamenti di postura. Questa sua formazione e la sua partecipazione a significative rappresentazioni teatrali dettero a Perls la possibilità di acquisire delle tecniche e dei contenuti che ha poi mutuato nella pratica terapeutica gestaltica: ne è un esempio la drammatizzazione delle parti del sé attraverso la tecnica del monodramma, che rappresenta una variante dello psicodramma di Moreno; in esso il protagonista gioca i vari ruoli della situazione da lui evocata. Affinché la situazione risulti chiara, lo si invita a cambiare posto (sedia) ogni volta che cambia ruolo. Non è importate raffigurare i personaggi reali della situazione evocata, quanto far emergere i propri vissuti per dipanare le rappresentazioni interne, soggettive e contraddittorie, mettendo in scena i propri fantasmi. Tale tecnica è utilizzata anche nel lavoro onirico, poiché in Gestalt tutti i vari elementi del sogno sono dei frammenti della personalità (Ginger, 1990) che vengono messi in scena nel teatro della mente e che il paziente può rappresentare e mettere in azione attraverso il monodramma improvvisato. Grazie al monodramma il paziente mette in atto un processo creativo dando voce alle parti del sé e lo fa nel presente, nel qui e ora; anche nel lavoro sul sogno la narrazione dei contenuti onirici avviene usando il tempo presente, modalità che favorisce la attualizzazione degli stessi contenuti anche se riferiti a vissuti lontani nel tempo. In realtà non esiste presente in cui non si esprima il passato e nel quale il futuro non sia potenzialmente racchiuso (Zerbetto, 1998). È sempre nel tempo presente che l’attore/paziente improvvisa e pertanto il qui e ora rappresenta il fulcro tanto della terapia della Gestalt, quanto dell’arte dell’improvvisazione teatrale. L’improvvisazione, intesa come modalità specifica di creazione artistica, è conosciuta soprattutto attraverso l’esperienza della musica jazz, tuttavia essa è presente in diverse altre discipline artistiche: danza, pittura, poesia, teatro, altri tipi di musica ecc. L’improvvisazione teatrale è una forma di teatro in cui gli attori non seguono un copione definito, ma inventano personaggi e storie improvvisando estemporaneamente. Non c’è copione, né sipario, tutto avviene sulla scena che diviene il foglio bianco su cui scrivere ogni volta una nuova storia, creata e interpretata nello stesso momento. In sostanza l’attore che improvvisa diventa anche autore dello spettacolo nel suo farsi, si pone infatti davanti all’atto artistico con un atteggiamento particolare: sa che deve necessariamente sviluppare un potenziale creativo che gli permetterà di essere in scena al tempo stesso come attore, autore, regista, scenografo, coreografo di se stesso insieme agli altri attori con cui condivide la scena. Il fascino indubbio che l’improvvisazione teatrale esercita sull’attore e sullo spettatore deriva proprio dalla contemporaneità tra la nascita dell’evento artistico e il godimento dello stesso, dalla consapevolezza della partecipazione a un evento creativo unico e non ripetibile, basato su codici di lavoro e di linguaggio comuni. L’arte dell’improvvisazione è antica: arriva dai teatranti greci, dai buffoni medioevali, dai saltimbanchi e dalle maschere della commedia dell’arte. Nel corso del tempo, l’arte teatrale ha subito una progressiva trasformazione attraverso un’azione crescente di controllo sull’evento spettacolare finalizzata a renderlo il più possibile studiato, preparato e codificato. Così, se da una parte l’improvvisazione usciva lentamente dalla scena, dall’altra ,entrava sempre più da protagonista nella didattica teatrale, tanto che le principali metodologie contemporanee per la formazione dell’attore danno largo spazio alla pratica dell’improvvisazione. Nella seconda metà del ‘900 si è sentita tuttavia l’esigenza di rivalutare l’improvvisazione non solo come momento di studio, ma anche come attività specifica ed immediata di rappresentazione. Ciò è stato possibile anche grazie al contributo di Robert Gravel, Yvon Leduc e Keith Johnstone, creatori del Match di improvvisazione teatrale e del Theatresports, forme spettacolari completamente improvvisate dove niente è definito in anticipo e tutto viene creato e rappresentato sul momento, nel qui e ora della scena: «imparammo che le cose inventate sullo spunto del momento potevano essere altrettanto belle o migliori dei testi su cui ci affaticavamo» (Johnstone, 1981). In Inghilterra, intorno al 1960, Keith Johnstone, uno dei più noti pionieri dell’improvvisazione teatrale, fondò il gruppo The Theatre Machine, che andò in giro per l’Europa. Egli scrisse: Presto divenimmo un gruppo molto famoso e il solo gruppo di pura improvvisazione che conoscevo, per il fatto che non preparavamo niente e tutto era come una lezione di teatro jazzata. È strano svegliarsi sapendo che tra dodici ore sarai sul palcoscenico e che non c’è assolutamente niente che puoi fare per assicurarti il successo» (Johnstone, 1981). L’improvvisazione teatrale ha poche regole, molto semplici e tuttavia fondamentali per costruire una scena: attenzione, ascolto, con collaborazione, accettazione e supportazione creativa delle altrui proposte. Infatti, la regola principale per l’improvvisatore è ben riassunta dall’espressione “yes and…”, ovvero “dire di sì e…” aggiungere nuovi elementi alla proposta messa in scena dall’altro. L’improvvisazione valorizza il concetto di spontaneità: per improvvisare, quindi, bisogna imparare ad essere spontanei. Sebbene insegnare la spontaneità possa sembrare un controsenso, sia nel teatro, sia nella realtà quotidiana possiamo facilmente osservare che i comportamenti spontanei vengono spesso inibiti in favore di un controllo e di una costruzione artificiale, che in alcune occasioni è funzionale, ma che in altre costituisce una forzatura e una completa adesione a schemi precostituiti. Johnstone (1981) scrive: «Io insegno la spontaneità e quindi dico loro (agli allievi) che non devono cercare di controllare il futuro o di “vincere”; e che devono tenere la testa vuota e semplicemente osservare. […] È questa decisione di non cercare di controllare il futuro che consente agli allievi di essere spontanei». La grande difficoltà che l’individuo incontra nell’uso della spontaneità è la paura del giudizio dell’altro; questo perché fin dall’infanzia si viene educati a seguire regole imposte dalla società e dagli adulti di riferimento, a parlare come e quando lo richiede il contesto sociale in cui si vive e ad inibire determinati comportamenti per il timore di ricevere un giudizio morale e di subire un’eventuale esclusione dal proprio gruppo sociale (famiglia, scuola, lavoro). L’improvvisazione insegna a liberarsi dai preconcetti e pregiudizi, recuperando la creatività e la spontaneità. L’improvvisatore sceglie liberamente il proprio personaggio e nell’interazione con l’altro crea la storia, scegliendo nel qui e ora ciascuna delle azioni da compiere, e quindi ciascuna delle direzioni da dare alla storia che sta co-costruendo in scena. Sia nella terapia della Gestalt che nell’improvvisazione teatrale, quindi, viene privilegiata la libertà di scelta dell’individuo che agisce il proprio particolare modo di essere nel mondo, che nel percorso di psicoterapia viene arricchito dalla formulazione di una scelta consapevole e dal concetto di responsabilità. L’improvvisazione teatrale può diventare una vera e propria palestra per sviluppare la propria capacità creativa e liberarsi dai blocchi che la imprigionano o la limitano, come la paura di sbagliare o di sentirsi inadeguati o giudicati o diversi, ecc. Del resto si tratta degli stessi blocchi che l’individuo sperimenta nella propria vita quotidiana e che spesso sono alla base delle sue difficoltà.
In psicologia, e ancor di più nel campo della psicoterapia gestaltica, la creatività si esprime attraverso intuizioni dinanzi a situazioni nuove o impreviste, e si manifesta come abilità nel trovare soluzioni efficaci rispetto a problemi da risolvere. In Gestalt si definisce appunto adattamento creativo. Qualsiasi psicoterapeuta di formazione gestaltica non avrebbe difficoltà ad individuare i numerosi punti di contatto tra la terapia della Gestalt e l’improvvisazione teatrale. Naturalmente il più significativo è rappresentato dall’essere entrambe centrate sul qui e ora. Pertanto lavorare sulla propria capacità di improvvisare può essere, oltre che divertente, anche estremamente terapeutico. In conclusione, alla luce dei principi comuni che Gestalt e improvvisazione teatrale condividono, vorrei citare un recente (Ai Yuong) articolo che ha colpito la mia attenzione. Si tratta di Why Improv Comedy Will Give You the Best Mindset for Life (trad. “Perché l’improvvisazione teatrale vi fornirà la migliore filosofia di vita”), scritto da Ai Vuong, antropologa, sociologa, scrittrice, viaggiatrice e creativa. L’articolo spiega in che modo l’improvvisazione può migliorare il nostro stile di vita, a partire dalla spontaneità, invitando la persona a disimparare gran parte di ciò che ha imparato e ad adottare una nuova mentalità basata sui seguenti insegnamenti: • Listen (ascolta): mettiti in ascolto autentico e attivo dell’altro. Non essere centrato su ciò che dovrai dire dopo, perché così facendo perderai qualcosa di veramente importante; • Agree, and add something (Concorda e aggiungi qualcosa): si tratta dell’atteggiamento “yes and” (si veda pag. 33) ovvero contribuisci in modo positivo a creare qualcosa con l’altro, costruisci insieme all’altro; • Know that it’s there… and then it’s gone (SappiIn psicologia, e ancor di più nel campo della psicoterapia gestaltica, la creatività si esprime attraverso intuizioni dinanzi a situazioni nuove o impreviste, e si manifesta come abilità nel trovare soluzioni efficaci rispetto a problemi da risolvere. In Gestalt si definisce appunto adattamento creativo. Qualsiasi psicoterapeuta di formazione gestaltica non avrebbe difficoltà ad individuare i numerosi punti di contatto tra la terapia della Gestalt e l’improvvisazione teatrale. Naturalmente il più significativo è rappresentato dall’essere entrambe centrate sul qui e ora. Pertanto lavorare sulla propria capacità di improvvisare può essere, oltre che divertente, anche estremamente terapeutico. In conclusione, alla luce dei principi comuni che Gestalt e improvvisazione teatrale condividono, vorrei citare un recente (Ai Yuong) articolo che ha colpito la mia attenzione. Si tratta di Why Improv Comedy Will Give You the Best Mindset for Life (trad. “Perché l’improvvisazione teatrale vi fornirà la migliore filosofia di vita”), scritto da Ai Vuong, antropologa, sociologa, scrittrice, viaggiatrice e creativa. L’articolo spiega in che modo l’improvvisazione può migliorare il nostro stile di vita, a partire dalla spontaneità, invitando la persona a disimparare gran parte di ciò che ha imparato e ad adottare una nuova mentalità basata sui seguenti insegnamenti: • Listen (ascolta): mettiti in ascolto autentico e attivo dell’altro. Non essere centrato su ciò che dovrai dire dopo, perché così facendo perderai qualcosa di veramente importante; • Agree, and add something (Concorda e aggiungi qualcosa): si tratta dell’atteggiamento “yes and” (si veda pag. 33) ovvero contribuisci in modo positivo a creare qualcosa con l’altro, costruisci insieme all’altro; • Know that it’s there… and then it’s gone (Sappi
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